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Futuro tra speranza e distopia

Se chiedessimo a chiunque di immaginare un futuro remoto, con proprie sfaccettature e peculiarità , è molto probabile venga fuori un quadro della situazione caratterizzato da un immaginario non proprio idilliaco. Se da un lato parole come "progresso" e "sviluppo tecnologico" trabocchino nella nostra epoca (con connotazione positiva), dall'altro la percezione della psiche collettiva sul futuro di noi tutti è per la maggior parte delle volte connotata da fattori distopici, soffocanti e oppressivi.
Basti pensare soltanto alla maggioranza delle produzioni cinematografiche o letterarie riguardo il faccia a faccia tra società future e sviluppo tecnologico. Ci si ritroverà fra una distesa di film e libri fantascientifici in cui l'oppressione sociale, da parte delle macchine o da uomini che si servono di esse, ne fa da padrone. Raramente l'autore si trova a immaginare una nuova età dell'oro in cui progresso tecnologico e umanità convivano armoniosamente.
Si vuole in questa analisi affrontare il perché di tale dualismo. Da un lato la asserzione qasi fideistica di un futuro migliorato dal progresso e dall'altro l'angoscia che quello stesso progresso possa schiacciarci o travolgerci.
Sarà capitato al lettore di aver sentito nominare almeno una volta la parola: transumanesimo.
Di cosa si tratta? Una corrente di pensiero? Un movimento politico? Una filosofia di vita? Forse tutto ciò messo insieme.
Di base potremmo in realtà asserire che il transumanesimo rappresenti un periodo. Più nello specifico il periodo nel quale ci troviamo a vivere.  Un lasso di tempo che separa l'umano, che ancora ci caratterizza, dal post umano.
Per transumanismo intendiamo quindi quella corrente di pensiero che spinge affinché si investa e lavori sempre più per tecnologie che ci portino verso una realtà evoluta a tal punto da aver superato qualsivoglia peculiarità o debolezza tipica di un uomo, financo la morte. La realtà del post umanesimo.
Un'utopia? Probabilmente. Di base non ci sarebbe nulla di angosciante. Eppure il transumanesimo è alla base di metà delle produzioni letterario cinematografiche per quanto riguarda la fantascienza distopica.
In verità, si potrebbe asserire che è proprio il carattere imminentista di talune ideologie, che fanno del progresso il proprio elemento trainante, a renderle così angoscianti. Tale carattere, quello dell'imminenza, è tipico di qualsivoglia pensiero utopico. Si parte da un concetto di per sé inarrivabile. Spesso quest ultimo è in contrasto col reale per una perfezione intrinseca sin troppo distante dal proprio presente, per cui si ha la costante sensazione di "poterci arrivare" prossimamente ma di non esserci ancora riusciti.
Solitamente, più la meta si fa vicina, più la realtà dei fatti si manifesta come distante dal nostro disegno. E qui entrano in gioco paure ed angoscie che, talvolta, tramutano il nostro sogno in un incubo.
D'altronde non esiste distopia immaginabile che non nasca da sani principi quali uguaglianza, pace, salute, prosperità...
È il modo in cui affrontiamo i nostri sogni che li rende piacevoli o meno. Un desiderio può diventare tanto un ossessione quanto un semplice obbiettivo, dipende dalla nostra forma mentis.
L'umanità è così angosciata poiché vive in una costante sensazione imminentistica. Circondata da questioni ed eventi idilliaci che dovranno arrivare prima o poi ma angosciata dalle imperfezioni evidenti della propria realtà presente.
Si crea così un loop in cui più lo sviluppo avanza più ci si sente vicini a quella distopia rappresentata in film e romanzi fantascientifici, piuttosto che alla utopia da cui si era partiti a fantasticare.
Non sarebbe quindi necessario un cambio di approccio? Non siamo in grado di fornire una soluzione ma alcune proposte sorgono dibattendo.
Prima su tutte la sostituzione di una visione immanentistica a quella imminentistica. Ovvero sostituire il ragionamento dell'utopia con quello del Mito. Parliamo quindi non di un elemento di speranza che potrebbe manifestarsi un domani risolvendo qualsivoglia dei nostri problemi bensì un archetipo incarnabile dal singolo giorno per giorno della propria vita. Un alto ideale è sempre presente nella visione mitica poiché d'Esempio e non d'obbiettivo come in quella utopica. Se l'approccio al progresso e allo sviluppo tecnologico non fosse che lo slancio in avanti dettato dal modello di un Mito non sarebbe forse la nostra visione al futuro meno angosciosa? Certo ciò richiederebbe uno sforzo. Da un lato l'affrontare faccia a faccia le proprie angosce e paure qui ed ora e dall'altro abbandonare la cieca fede nel progresso come elemento di transfert delle proprie responsabilità.
Vi sarebbe poi un parallelo da fare fra due mondi: quello occidentale e quello orientale.
Ebbene il sentimento distopico verso il futuro è spesso maggiore nelle democrazie occidentali. Società che spesso hanno molto meno di distopicamente tangibile rispetto ad altre e che hanno il freno a mano tirato sulla diffusione capillare di tecnologie panoptiche. Da cosa deriva questo differente stato d'animo? Volendo tenersi sempre su un ragionamento prettamente filosofico/spirituale il principio dell'immanenza e dell'imminenza persiste.
L'occidente, influenzato da secoli di cultura giudaico cristiana, si distingue nettamente dalla visione panteistica che caratterizza l'Oriente.
Nel panteismo tutto ciò che esiste su questo piano materiale è intriso dal divino. È parte dell'armonia del tutto e, anche se creato dall'uomo, ha ragione d'esistere in quanto parte della divinità. Come potrebbero una macchina, una intelligenza artificiale, un androide avere al proprio interno il seme del male? Come potrebbe il Tutto generare un ingranaggio difettoso e malevolo per l'intera struttura? Inoltre, cosa più importante, le macchine sarebbero intrinsecamente comunque dotate di un'anima.
Chiaro che nell'inconscio occidentale tutto ciò muta. La macchina sarebbe rimandabile molto più alla figura del Golem. Un essere gigantesco, creato dall'uomo ( secondo la mitologia Ebraica) dall'immensa forza e ubbidienza ma che mai avrebbe potuto avere peculiarità tipiche dell'animo umano. Quest'ultimo sarebbe poi finito per ribellarsi all'uomo distruggendo tutto ciò che lo circondava tramite la sua immensa forza. Il robot è visto quindi come un freddo e ubbidiente calcolatore con talune capacità  superiori all'uomo che, nel caso in cui sfuggano al controllo di quest'ultimo, avrebbero potenzialità intrinseche maligne e distruttive.
Questo perché tutto ciò che l'uomo crea è frutto di quest'ultimo e del suo libero arbitrio, non vi è un più ampio quadro dato da un destino o da un disegno cosmico. Vi è solo un imminenza dell'alfa dell'omega e del giudizio di un Dio che un giorno si abbatterà sull'uomo.
È meglio quindi per un popolo avere una prospera e serena visione del proprio futuro (nonostante vi sia una effettiva oppressione) o un popolo libero costernato da angoscie e paure?
Anche qui, difficile fornire risposta. Certo è che un popolo che cresce nell'angoscia è un popolo indifeso e spesso castrato della propria volontà di potenza.