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Il precursore delle arti marziali miste: la storia del brazilian jiu jitsu

Il brazilian jiu jitsu (BJJ) è un’arte marziale e, al tempo stesso sport da combattimento, che si caratterizza per il ground fighting (lotta a terra). Prevede l’utilizzo di chiavi articolari, strangolamenti e altre posizioni tipiche di questo sport, volte a dominare l’avversario e, talvolta, spingerlo alla resa. L’allenamento e la pratica agonistica del jiu jitsu presuppone l’uso dell’abito tipico, chiamato gi, o kimono.

Scendendo su un piano più squisitamente storico, occorre preliminarmente sottolineare come il tutto abbia inizio nel secolo ventesimo in Giappone con una pratica sportiva che allora veniva definita semplicemente “ju jutsu”. 

La traduzione letterale di tale denominazione è “arte della cedevolezza” o “arte della flessibilità” altrimenti definito “arte gentile “. Non è difficile immaginare come quest’ultima definizione possa risultare piuttosto contraddittoria in uno sport comunque finalizzato all’offesa.

In realtà, nell’antico Giappone feudale, tale pratica sportiva, prevedeva l’utilizzo di pugni, calci, strangolamenti, chiavi articolari (anche delle piccole articolazioni), testate, colpi all’inguine...Il termine arte gentile, dunque, si riferisce all’idea di usare la propria forza nel modo più efficiente: piuttosto che resistere alla forza con altra forza, l’idea base è quella, paradossalmente, di cedere alla forza dell’avversario, e usarla contro di lui. Sostanzialmente, dunque, si tratta di usare la tecnica in modo intelligente, per vincere la forza e l’aggressività dell’avversario. Questo è il principio “filosofico” sul quale si basa il brazilian jiu jitsu. Proprio grazie a questo principio, secondo cui un uomo piccolo poteva facilmente neutralizzare un uomo dalla mole decisamente maggiore, il ju jutsu ebbe grande successo nel Giappone feudale.

Fu così che emersero diverse scuole: ognuna poneva un‘enfasi particolare sul modo di lottare. Alcune di queste si basavano su tecniche di atterramento, altre su tecniche di strangolamento. 

Nella seconda metà dell’800, un uomo di piccole dimensioni, il cui nome era Jigoro Kano (1860-1938), cominciò a studiare il ju jutsu in risposta a diverse aggressioni e derisioni da parte dei tanti bulli che, allora come ora, infestavano la vita della società dell’epoca. Kano seppe superare la fragilità del suo fisico attraverso un intelligente adattamento realizzato con tecniche molto particolari e singolari che gli permettevano di contrastare l’avversario in modo risolutivo. 

Durante lo studio del ju jutsu però, Kano non potè fare a meno di notare i punti ciechi dell’arte marziale. Il punto cieco cruciale però, secondo Kano, era da rilevarsi nella natura stessa dell’arte marziale: esso era, in definitiva, una raccolta di tecniche e particolari che non davano alcun tipo di indizio sulla strada da prendere in caso di combattimento reale. Le stesse tecniche venivano espletate nei cosiddetti “kata”, ovvero sequenze coreografiche nelle quali diversi partner seguono un indirizzo di tecniche preimpostate, senza porsi resistenza l’un l’altro. La mancanza di sparring (simulazione reale di combattimento) era una situazione cui Kano voleva assolutamente rimediare. Ovviamente la spiegazione del perché il ju jutsu classico fosse basato sui kata per espletare le proprie tecniche, è facilmente comprensibile: i colpi che venivano realizzati, si basavano su tecniche a volte letali, quali calci all’inguine, dita negli occhi, e quant’altro avrebbe potuto causare danni seri al compagno in caso di simulazione reale di combattimento. Per ovviare a questo problema di non poco conto, Kano diede vita nella sua prima palestra, chiamata “Kodokan”, al randori, o live sparring. 

L’idea era quella di rendere il combattimento il più realistico possibile, cercando di realizzare una difficile complementarietà tra le tecniche dei due partners. La differenza, decisamente geniale, che colse e realizzò Kano durante le sue sessioni di allenamento, (destinata in seguito a stravolgere completamente il modo di combattere) fu la completa eliminazione dalle sessioni di sparring, i colpi definiti “proibiti “: Questi ultimi infatti, venivano usati solo e esclusivamente nelle tecniche di kata che Kano decise comunque di non abbandonare completamente. Solo così infatti il randori o live sparring venne reso ancora più praticabile, diminuendo in maniera drastica il rischio di lesioni durante l’allenamento. 

Le chiavi articolari erano limitate ai gomiti, ritenute più sicure rispetto a chiavi articolari riguardanti la zona delle gambe, delle spalle, della colonna vertebrale e dei polsi ed erano consentiti solo gli strangolamenti. In questo modo gli studenti avrebbero potuto cimentarsi a piena potenza con scarso rischio di lesioni, ottenendo così un vantaggio cruciale durante un combattimento vero e proprio. 

Per quanto controcorrente possa sembrare la rivoluzione apportata da Kano, essa è da ritenersi assolutamente originale: normalmente i non addetti ai lavori tenderebbero a catalogare il ju jutsu di Kano meno efficace del ju jutsu tradizionale, anche in forza del deciso taglio di tecniche letali. La genialità innovativa della nuova arte marziale, da lui coniata sotto il nome di judo, sta proprio nel fatto che tale sport diventa così molto più calato nella sensibilità degli atleti, i quali, seppur con un restringimento di tecniche, sono in grado di allenarsi alla “massima potenza” e in piena consapevolezza. Tutto ciò ha contribuito non poco a quella che sarà poi la base del “grappling”. 

Piuttosto che essere semplicemente una serie di tecniche, il judo, nella volontà di Kano, doveva essere uno stile di vita completo, con fondamenti ben radicati, sia dal punto di vista morale, che spirituale, con interessanti ricadute dal punto di vista sociologico.

La successiva evoluzione del judo non può non tener conto di una figura fondamentale della storia di queste pratiche sportive: Mitsuyo Maeda (1878-1941), uno dei migliori allievi di Kano, ha sicuramente avuto rilevanza assoluta nell’ulteriore evoluzione del judo destinata ad approdare su una sorta di nuovo scenario dalle caratteristiche assolutamente esaltanti. Da questi presupposti, la genesi del brazilian jiu jitsu. Maeda era un praticante di ju jutsu tradizionale che in seguito al grande successo del judo, in forza di un intelligente e fantasioso approfondimento, riuscì ad arricchirlo con una serie di risorse e “possibilità” di cui tratteremo in seguito.

Kano, avendo interesse a diffondere la conoscenza della sua arte marziale nel mondo, coltivando il sogno di renderla uno sport olimpico, affidò a Maeda l’arduo compito di portare alla ribalta il judo oltre i confini del Giappone. Fu così che Maeda, dopo essere approdato in America, cominciò ad insegnare l’arte marziale nel nuovo continente, dapprima a Princeton, poi nel New Jersey, e infine anche a New York. Fu proprio nello stato di New York, che l’intento della giovane promessa andò a buon fine. Maeda dovette così battersi contro un campione locale di wrestling, contro il quale vinse senza molti problemi, facendo così onore al judo e a Kano. La vittoria però, non determinò, sia per il ju jutsu che per il judo, una maggiore conoscenza di queste attività sportive in America. Per Maeda, che viveva di queste arti marziali, fu duro guadagnarsi da vivere. Tuttavia, lo studente di Kano non si diede per vinto e cominciò pian piano ad accumulare vittorie su vittorie, diventando sempre più sicuro di sé, e affinando ulteriormente la sua tecnica. Maeda ha, in tal modo, sostanzialmente iniziato una tradizione che Helio Gracie e i suoi figli avrebbero portato avanti. Ma Maeda era un inguaribile viaggiatore.

Dopo la sua permanenza nel Nord America, fu la volta del Centro e Sud America, fino ad arrivare all'Europa. Accettando e sfidando sempre nuovi avversari, Maeda mise in atto non solo conoscenze riferite al judo, ma anche alla primordiale arte marziale, ovvero il ju jutsu, mettendo, così, in pratica anche tecniche considerate illegali dallo stesso Kano. In tal modo, andava contro i principi del Kodokan e della filosofia del judo in generale. Le sue tecniche infatti, vennero affinate appositamente per poter competere contro pugili e wrestler appartenenti al mondo occidentale, allontanandosi, in termini di filosofia e tecniche, dalla fisionomia classica del judo.

Combatté anche in Inghilterra e Spagna e fu proprio in Spagna che assunse anche il nome di "Conte Koma”. All'inizio degli anni '20, Maeda tornò in Brasile e fu fortemente coinvolto nei tentativi del governo giapponese di fondare una colonia nel nord del Brasile. Era l'era del Giappone imperiale. Di qui l’interesse del Giappone nell’avviare progetti di colonizzazione all'estero, proprio come avevano fatto molte nazioni occidentali. Uno dei paesi scelti per la colonizzazione fu il Brasile. 

Un uomo del posto, Gastao Gracie, di origini scozzesi, usò i suoi legami politici per aiutare Maeda. La forte amicizia tra i due dette origine al coinvolgimento dei figli di Gastao che ebbero lezioni di judo/jiujitsu dal maestro Maeda. Indubbiamente i Gracie ebbero, dalle rivoluzionarie metodologie didattiche di Kano, l’impulso decisivo per la loro indiscutibile affermazione nella storia della disciplina. D’altro canto l’esperienza di Maeda nei combattimenti reali non aveva eguali. Lo sviluppo delle sue tecniche in funzione degli stili occidentali degli sport da combattimento (boxe e wrestling), ha dato sicuramente uno slancio decisivo nella formazione dei Gracie, e nel loro successivo “assetto didattico”. 

I 4 principi fondamentali che sono stati insegnati alla famiglia da Maeda potrebbero essere:

  • L'abilità di lotta, con piccole modifiche, trasformata in uno stile di combattimento altamente efficace, che alla fine contraddice i punti di forza di altri stili e ne sfrutta i punti deboli.
  • Il randori, o come già citato più volte, la rivoluzione apportata da Kano, altrimenti detta sparring
  • La tecnica effettiva del ju jutsu e del judo, nella loro forma più pura
  • La strategia di combattimento di Maeda nel portare a terra l’avversario, rimuovendo così la sua più grande forza (pugni e calci) ed esponendolo di conseguenza aquella che è la più grande forza del combattente di brazilian jiu jitsu, ovvero la lotta a terra.

Ad ogni caso, i Gracie modificarono la metodologia e la strategia di allenamento, rifiutando alcuni limiti che Kano aveva imposto, seppur in maniera rivoluzionaria, all’interno della sua arte marziale. Del resto, Kano, anche in qualità di educatore pubblico, era interessato molto di più allo sviluppo delle tecniche, piuttosto che al combattimento vero e proprio, avvicinandosi, così, molto di più alla sfera morale e sociale ritenuta parte integrante della disciplina del judo. Kano infatti realizzò, ai suoi tempi, una sorta di grande “progetto sociale”, seppur con le dovute limitazioni durante gli sparring, quali il ridimensionamento di alcuni colpi, considerati “illegali” anche per evitare di procurare lesioni al proprio compagno. Con restrizioni così strette era, però, difficile continuare a registrare miglioramenti in termini di puro combattimento. Le esigenze sociali, morali ed estetiche finivano col diventare un ostacolo al progresso nello sviluppo dell'efficienza combattiva. Il clan Gracie ha potuto verificare l'effetto negativo di questi limiti e li ha definitivamente respinti. Ciò che stava a cuore alla famiglia, non era tanto la condivisione dei codici morali ed etici, quanto lo sviluppo di tecniche che potessero essere applicate nella vita reale, in contesti in cui ci potesse essere una effettiva esigenza di difendersi. 

I Gracie infatti, successivamente, si impegnarono in combattimenti in quella che poteva essere considerata una primordiale forma dell’attuale MMA (arti marziali miste), per sviluppare ulteriormente le proprie tecniche. Ciò ovviamente, dalla comunità marziale, non fu ben visto, e la famiglia, fu oggetto di critiche, talora aspre.

Un ulteriore cambiamento significativo che i Gracie apportarono, fu l’eliminazione di alcune regole imposte da Kano sul randori. Abbiamo visto che il fautore del judo aveva istituito la figura dello sparring libero, detto anche per l’appunto randori, una novità che fu alla base della rivoluzione geniale dello stesso Kano. Egli, tuttavia, a causa della sua preoccupazione per la sicurezza durante la pratica, aveva seriamente eliminato molti tipi di mosse che i suoi allievi avrebbero potuto utilizzare in competizione, per tutelare gli stessi, da lesioni o compromissioni funzionali anatomiche: leve alle gambe, leve al collo, leve alla colonna vertebrale, chiavi articolari delle spalle, dei polsi... Si tratta di tecniche di combattimento molto efficaci. Rimuovendole, gli studenti si trovarono a perdere una buona dose di efficacia in combattimento. Come se non bastasse, gli studenti ai quali era stato proibito l’utilizzo di determinate tecniche, avrebbero dovuto, paradossalmente, difendersi dalle stesse tecniche a loro proibite. Aggiungendo queste nuove tecniche allo sparring, l’arte marziale risultava ovviamente molto più efficace nel combattimento. Il randori acquistava così uno stile molto più combattivo. 

A seguito dell'esperienza con Maeda, i Gracie si erano resi conto di quanto fosse importante portare un avversario a terra inibendo ogni suo tipo di attacco. L’avversario dal canto suo, veniva a trovarsi in una posizione piuttosto inconsueta, nella quale si trovava impacciato ed in balia dell’avversario. Comprendiamo così, quanto fosse stato utile questa nuova condotta, che alla fine è la parte fondamentale del BJJ. Una volta che un combattimento va a terra, come l'esperienza ha abbondantemente dimostrato, ci si trova di fronte ad una chiara gerarchia di posizioni che i combattenti possono anche subire. Alcune posizioni offrono dei vantaggi incredibili se si vuole sottomettere o attaccare l’avversario con pugni, altre sono potenzialmente disastrose e finiscono con l’offrire troppi vantaggi all’opponente ed altre ancora diventano posizioni approssimativamente neutrali, nelle quali nessuna delle due parti ha un chiaro vantaggio. 

All’inizio degli anni 90, il figlio di Helio Gracie (secondogenito della famiglia Gracie, nonché fratello minore di Carlos), Rorion Gracie, si trasferì dal Brasile a Los Angeles, con l’obiettivo di dimostrare la superiorità in combattimento del BJJ. Il metodo ideato da Rorion e Art Davie (imprenditore) per far conoscere l’arte marziale al mondo, era quello dell’istituzione di un torneo di arti marziali, nel quale era concesso quasi tutto, le cui regole erano davvero minimali. In Brasile questa variante di combattimento senza regole su di un ring, era già conosciuta sotto il nome di Vale Tudo le cui regole principali erano semplicemente il divieto di morsi, graffi e dita negli occhi. 

L’evento cui i 2 amici diedero vita, prese il nome di “Ultimate Fighting Championship”, diventava, di fatto, una competizione nella quale diversi esponenti molto influenti di arti marziali come la kick-boxing, la muay thai, il judo, il savate, si contrapponevano l’un l’altro per decidere quale fosse l’arte marziale più forte in assoluto.

Il primo UFC ha avuto luogo nel 1993 ed è stato completamente “dominato” dal fratello minore di Rorion, Royce. Ovviamente gli incontri, in questa epoca “primordiale”, avvenivano senza differenziazioni per classi di peso, e fu proprio così che Royce Gracie conquistò il mondo. Egli, nonostante la sua stazza notevolmente inferiore rispetto agli altri partecipanti, si impose senza alcuna difficoltà. Sfruttò infatti l'ingenuità degli altri concorrenti nel combattimento al suolo, i quali, sprovveduti e senza alcuna abilità, sono stati sottomessi. Grazie al suo coraggio e alla sua tecnica in combattimento, vinse addirittura 3 dei primi 4 eventi (nel 4° evento dovette ritirarsi per infortunio, non perché battuto). 

In sostanza le sue vittorie hanno portato ad un grande interesse per il brazilian jiu jitsu, in particolare negli USA e Giappone, consolidando lo status di questo sport come arte marziale globale. Oggi il BJJ cavalca l’onda delle MMA, e viene considerata l’arte marziale con la più rapida crescita al mondo. Il BJJ è in continua evoluzione e viene perfezionata dai suoi praticanti, infatti ogni giorno vengono inventate nuove mosse e tecniche, a testimonianza della natura dinamica dello sport.

Lo stile di combattimento del fighter di BJJ, si basa principalmente sul portare a terra l’avversario, in modo tale da interrompere qualunque sua tecnica di percussione. Così facendo l’avversario si troverà in una posizione piuttosto inconsueta che gli procura un indiscutibile svantaggio. Di qui l’obiettivo di dominare, controllare e sottomettere, con strangolamenti o chiavi articolari, l’avversario. 

A differenza di altri sport nei quali si è soliti proiettare l’avversario a terra, come il judo o il wrestling, al combattente di brazilian jiu jitsu, interessa solo ed esclusivamente portare il combattimento a terra, evitando talvolta, ma non escludendola, la possibilità di proiettare l’opponente a terra, chiamando direttamente guardia. 

Una persona esterna potrebbe cogliere il mettersi spalle a terra, come uno svantaggio di non poco conto, ma una volta in possesso di un efficace corredo di tecniche, e sviluppando un metodo per controllare l’avversario, seppur spalle a terra, quest’ultimo viene esposto ad una serie di innumerevoli tecniche di sottomissione, oltre al fatto che se la guardia viene controllata in maniera egregia, per l’avversario risulterà molto difficile usare tecniche di percussione.