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"L’estate che non c’è stata”, da un dolore profondo nasce la dedica speciale di un figlio alla madre

Il suo è un libro «volutamente breve» che «è venuto alla luce nella foga di cristallizzare» i suoi pensieri, dove viene raccontato con delicatezza un dolore profondo, quello della perdita della propria madre avvenuto in breve tempo “in un torrido periodo estivo” contrassegnato da difficoltà di ogni tipo. Nel pomeriggio, presso la Sala Penta della Biblioteca Capone di Avellino, si è tenuta la presentazione del primo libro di Felice Pennacchio, docente di materie giuridico-economiche negli istituti secondari di secondo grado di Avellino, dal titolo “L’estate che non c’è stata”. A fare da moderatore lo scrittore Michele Miscia, che ha curato anche la presentazione del testo dell’autore.
Miscia, con le sue parole, ha introdotto «un autore conosciuto per quelle che sono le sue caratteristiche, ovvero un altissimo senso etico e una grande propensione allo studio. Pennacchio» ha una «formazione in materia economica però la caratteristica è che si sta affinando sempre di più in materia umanistica». Se c’è la «capacità di narrare qualcosa di autenticamente originale» allora «quello è lo scrittore» e «Pennacchio è autenticamente scrittore». Parlando della madre l’autore «racconta la storia di un percorso di sofferenza» e, tra l’altro, «adopera la metafora di un bottone, che diventa indicatore di vita o di morte, si sofferma su un particolare apparentemente insignificante» che nel libro assume un significato diverso. «C’è un dolore profondo, difficile da rimarginare, che fa parte dell’esistenza umana» e «se da un lato c’è un’esperienza dolorosa, dall’altro» c’è un’esperienza «catartica», ha concluso lo scrittore.
«Il libro è venuto alla luce nella foga di cristallizzare i miei pensieri ed è la prima esperienza in cui mi cimento in questa attività - ha spiegato Pennacchio -. In tanti mi hanno chiesto i motivi che mi hanno spinto a scrivere» e uno «che ti porta a scrivere» è «perché è un modo per tenere con te le persone che non ci sono più. Volevo dedicare a mia madre un qualcosa di speciale, ho voluto attribuirle un ruolo che in vita non ha mai voluto né si è voluto conquistare nella sua semplicità. Questo desiderio di raccontare l’ho cristallizzato».
Tra un paio di aneddoti di famiglia raccontati dall’autore e citazioni letterarie di autori come Seneca, Lucrezio e altri, l’autore ha aggiunto anche che «in questa narrazione, in realtà, c’è anche una denuncia sociale, dove il dito è puntato contro la malasanità. Però non è una denuncia sociale tout court, la si ritrova nel corso della narrazione ma sempre all’interno della cornice in cui vado a tratteggiare questo ricordo di mia madre, che è prioritario. È una denuncia sociale che purtroppo mi ha portato a dover raccontare alcune cose» e «forse ci sarà anche un seguito legale. Esiste una malasanità, un male endemico italico e queste cose vanno dette, vanno denunciate forse con un libro o con un convegno. Se riusciamo a denunciare le storture chissà che non riusciamo a cavare qualcosa. Voglio far luce su quello che è accaduto. Forse è il caso che ci indigniamo, non possiamo accettare che tutto questo ci scorra», ha concluso Pennacchio.