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“La fine del gioco”, presentato ad Atripalda il nuovo libro di Franco Festa

L’input del suo nuovo romanzo è nato da una storia vera accaduta in città. Franco Festa, autore apprezzato e tra le voci più originali della narrativa gialla e noir ambientata in Irpinia, torna con un nuovo romanzo, “La fine del gioco”, dove propone un intreccio avvincente con protagonisti i commissari Matarazzo e Melillo, che ha presentato presso la biblioteca “L. Cassese” di Atripalda. L’incontro, promosso dal Comune di Atripalda, è stato moderato dal giornalista Gianni Festa. 

«Ci troviamo in un momento storico in cui fortemente noi promuoviamo presentazioni di libri, promuoviamo in generale cultura – ha dichiarato nel suo saluto istituzionale il sindaco Paolo Spagnuolo -. Un articolo su “Avvenire” mi ha lasciato perplesso: quasi quattro italiani su 10 sono in grado di comprendere solo testi molto brevi, con informazioni minime che non distraggono l’attenzione. Se partiamo da questo dato dobbiamo dire attenzione, siamo in una fase in cui il degrado culturale va sicuramente arginato, quindi dobbiamo puntare molto sulla cultura. Bisogna arginare questo degrado culturale e favorire la riflessione attraverso la lettura e la condivisione di testi così importanti». E il romanzo di Festa è un «romanzo la cui lettura è particolarmente piacevole, gradevole». 

«Franco Festa presenta questo suo libro che è l’ennesima fatica di uno scrittore autentico, coraggioso e riflessivo, con i suoi tormenti, le sue preoccupazioni, soprattutto il desiderio di volere una città che non è più – ha detto Gianni Festa -. Lui strumentalmente ha vissuto queste vicende con grande emozione, dando parole, vita e sentimento soprattutto al commissario che è il protagonista del suo libro, insieme ad altri. I luoghi, le vicende, le narrazioni così acute, fanno veramente riflettere sul modello di città. Può essere in questo un veicolo da riproporre in altre città perché il senso della città si va smarrendo». 

Il direttore del "Corriere dell'Irpinia" ha poi voluto «lanciare una provocazione: se Avellino nelle previsioni urbanistiche sarà tra pochi anni una città al di sotto dei 50mila abitanti è la contraddizione forte di cemento che cala sulla città, come si fa a pensare che una città in degrado deve recuperare attraverso tanti edifici. Allora la risposta è nella camorra che ha trovato finalmente il suolo ad Avellino per farne le speculazioni. E la camorra non a caso viene dai territori confinanti con la nostra città. Questo pericolo mi pare non sia molto avvertito. Franco con i suoi libri, io con il Corriere dell’Irpinia denunciamo questa discrasia ma non arrivano risposte. Allora il dubbio è c’è ancora o c’è ancora qui o è arrivata qui la complicità tra amministrazione e affari? Forse questa la spiegazione dei palazzi che stanno toccando il cielo». 

«La struttura del giallo è un pretesto, è sostanzialmente un arnese duttile che Franco giostra per muoversi tra sua filosofia mascherata sottopelle e la storia della città - ha detto Ennio Loffredo, altro relatore della presentazione -. Secondo me scavando nei personaggi si riesce anche a vedere lui come si vede, del percorso di crescita che ha avuto». Per Loffredo «c’è una biografia non solo mascherata ma anche strutturata perché i personaggi centrali sono due», ovvero «un giovane commissario, Gabriele Matarazzo, che ha preso il posto del suo maestro, il commissario in pensione Melillo. Il primo sostanzialmente combatte il male e ha un processo di maturazione molto lento con la vicinanza con Melillo». Un secondo aspetto del libro, ha continuato Loffredo, è che «alcuni capitoli usano carattere normale, altri usano il corsivo» («Una scelta precisa», ha aggiunto a questo punto l’autore Festa). Per me da un lato c’è una scrittura che nel carattere pone un distacco tra la realtà che si racconta e lo scrittore, l’altro riguarda la sfera dei processi interiori dei personaggi, perlopiù le donne, e in quel caso il corsivo si presta più a una mobilità e in questi casi il distacco di Franco viene meno». Loffredo ha continuato dicendo, tra l’altro, che «credo che la riflessione sul male di Franco sia un punto centrale. Il male nel romanzo nasce nella famiglia, ma il punto fondamentale per Franco è che il male ci attraversa e non prenderne coscienza non ci aiuta a tenerlo a bada e a riparare i danni. Altro punto è il rapporto tra Franco e la scuola (l’autore è stato professore di matematica e fisica, ndr), grandi parti del romanzo si soffermano su questo snaturamento della scuola, che ormai è un dispensario di nozioni» e che «la città che descrive Franco è il rovescio di quello che descrive Calvino nelle “Città invisibili”. Franco il problema se lo pone e lo fa risolvere ai suoi personaggi». 

Un male che «rende tutti smarriti» e che «porta Matarazzo a una scelta, quella della solitudine, lo allontana dalla sua antica passione», ha aggiunto Gianni Festa, mentre l’altro relatore della presentazione, Luigi Anzalone, ha sottolineato tra l’altro che si tratta di un libro «che si qualifica come un giallo ma in realtà è solo in apparenza un libro giallo, è qualcosa di più importante. Non sono libri gialli, hanno molto del romanzo russo, è molto dostoevskiano per l’aria cupa. Avellino non è in quanto luogo storico ma è anche metafora della condizione umana oggi. Avellino in quale contesto è, è descritta in declino. È un romanzo giallo di stampo particolare perché è una sciarada, Franco dissemina il racconto di continue tracce che sono come sentieri interrotti». Nel suo libro, ha continuato Anzalone, «ci sta dentro», un romanzo che «è giocato su due espedienti letterari: il sistema del doppio e i capovolgimenti. E nel chiudere Franco gioca al chiaroscuro. Il titolo prelude alla fine di tutti i giochi e Franco non scioglie l’enigma».

A chiudere la presentazione, dopo alcuni interventi da parte del pubblico, come quello di Alberta De Simone, è stato l’autore Franco Festa. «Stranamente il tema politico per così dire non è il tema centrale di questo romanzo - ha detto lo scrittore -. Nella pagina finale c’è un Melillo in agonia» e in quella pagina, come detto in precedenza da Loffredo, ci sono due aspetti, ovvero che l’ultimo colloquio di Melillo sia con i giovani, «che sono i veri protagonisti di questa storia, i giovani sono quella speranza che rappresentano, per me le pagine più importanti del libro sono la relazione tra il vecchio Melillo e i giovani che sembrano disincantati e che non stanno attenti al mondo e invece sono un’altra cosa» e «la presenza in quella stanza di due persone a me care, Enrica ed Ettore». Nel libro «l’ordine non è ritrovato», il romanzo «si fonda sulla ricerca di un ordine possibile, un ordine che è perduto - ha continuato Franco Festa -. È un libro in cui non c’è solo la storia ma ci siamo noi, ognuno di noi è presente nel libro. E poi c’è l’altro tema centrale, quello della scuola, in quella rottura è la radice di ciò che non funziona nella città e nel resto del mondo. A cosa oggi si è voluto ridurre la scuola», che «oggi è davvero sostituibile dall’Intelligenza Artificiale, così come oggi. Ma cosa non potrà dare l’IA? Il tema della relazione». Infine, «la speranza è un problema di una nuova umanità, non dobbiamo perderla».