È il gran giorno di Conte. Molto se non tutto dipende da lui che, alle quindici in Senato, metterà le carte sul tavolo. Da tempo gli sguardi sono puntati sulla scelta che farà tra le due opzioni che ha di fronte: dimettersi subito dopo il dibattito, oppure andare al voto e poi salire al Colle. È un bivio fondamentale: chiedere la sfiducia vorrebbe dire spalancare la porta a giochi di ogni tipo, oltre al fatto che si tratterebbe di una vittoria di quell’ala dei grillini – sicuramente minoritaria ma non inesistente – che non ha abbandonato l’idea di tornare al governo con Salvini. Le cose si complicherebbero ancora di più ove si mostrassero fondate le due voci che circolavano alla vigilia del momento della verità: quella secondo cui i grillini mirerebbero a un governo Conte sostenuto dal Pd ma solo per due mesi per avere il tempo di fare la finanziaria e verificare se ci sono le condizioni per un esecutivo di legislatura. E quella, cara a Di Maio, secondo cui potrebbe andare al Colle e chiedere tempo per incassare, con l’attuale governo, tra due giorni il taglio dei parlamentari. Tutto lascia pensare che Conte – anche in virtù dei suoi rapporti con il Quirinale – abbia capito la situazione e intenda muoversi nel modo più limpido, dimettendosi subito dopo il dibattito. Ma la certezza si avrà solo oggi pomeriggio. La mossa che in concreto farà il premier è fondamentale ma altrettanto importante sarà il tono delle comunicazioni. Saranno le parole di Conte a indirizzare il proseguimento della crisi. L’attacco a Salvini si può dare per scontato così come la durezza dei toni, ma la politica è fatta di sfumature e sarà da quelle sfumature che si capirà se il Presidente del consiglio lascia uno spiraglio al ritorno con la Lega o se cancellerà definitamente quell’opzione dal novero dei possibili esiti della crisi.