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"Buon viso": il testo del poeta irpino Roberto Lombardi

BUON VISO


In un piccolo paese, oppure in una piccola città, la comunanza è qualcosa di palese, lampante, inevitabile. Ogni suo abitante non ha solo la propria vita personale, ma anche una pubblica, di personaggio, si potrebbe dire: ognuno si sceglie un ruolo amichevole, simpatico oppure chiuso e schivo, a seconda del suo carattere e della propria necessità; in piazza, una grande piazza con molte panchine, si parlava del mondo che non si conosceva e si schiamazzava la vita, che prenderla a schiamazzi era come educarla.

Nel condominio Manganelli, secondo piano, scala B, s’era invece scelta la via diplomatico, dolcissima fino al diabete, del buon viso a cattivo gioco e la famiglia Cosimo ne era alla testa.

Cinque famiglie vivevano lì al secondo piano, capeggiata quasi dai Cosimo, moglie e marito, due maschi e la nonna, ma solo, s’intende, in questa bolla di mondo ch’è il pianerottolo.

Quanti benevoli sorrisi! Sguardi amorevoli e saluti lunghi! La signora Cosimo ne era la regina, m’anche lui, Franco Cosimo, il marito, s’adoperava e sguazzava in quel brodo, e gli piaceva tanto sorridere veemente, chiudere la porta e dire – Certo, i Girolamo sono proprio arretrati, eh?- Con sguardo indulgente, quel suo comportamento lo facesse sentire superiore e buono al contegno, come un narciso sociale, specchiato nei sorrisi e a luce spenta nei suoi difetti…ma che difetti! Rispetto a questa gente, che lo circondava, i suoi erano tutti perdonabili, quasi necessari, per sopravvivere in questo mondo di cavernicoli.

Ecco, però, che le altre famiglie, a quelle funzioni ci stavano, le assecondavano, sorridendo calorosamente e – Buondì-  - Splendida serata!- -I migliori auguri!-  eccetera eccetera, e quando si chiudeva la porta – Certo, i Cosimo, sono proprio arretrati, eh?-

Di questa situazione che s’andava ricreando ogni giorno, oppure agli inviti a cena, alle chiacchiere al bar e davanti al portone, ci soffriva un po' il professor Pensa, docente di geografia, alla scuola della città : occhiali tondi, chierica e un po' di pancetta, aveva superato gli “anta”, viveva lì in un appartamento del secondo piano, scala B, sforzandosi d’essere gentile almeno quanto gli altri, ma con immensa difficoltà e soprattutto imbarazzo.

-Venga a cena da noi, ci sono anche i Cosimo- ed un sorriso ampio

-Grazie…avrei da lavorare, e sono stanco- un sorriso a metà.

-Su, forza, ci faccia compagnia, ci fa piacere- ed un sorriso ampio, che ormai il volto faticava a trattenere

-Grazie, grazie…davvero- Rosso, il Penso, pieno di sincerità.

Ecco che, a quelle cene, se ne parlava con aria diventata e paonazza – Quel Pensa, che tipo!-

-Non la troverà mai una moglie!-

-Sicuro, se resta chiuso in casa!-

-Casa e chiesa!- E così via, fino al prossimo argomento.

Il signor Cosimo, il giorno dopo una di queste cene, ancora un po' intontito da quei due bicchieri di aglianico in più, s’imbattè senza farci caso in una bara lì chiusa, sigillata, sul pianerottolo, ci andò a sbattere coi piedi.

Sorpreso, ritornò alla realtà notando la casa del Pensa spalancata: il prof, infarto, fulminante.

Addolorati, addoloratissimi vicini, di tutto nero al funerale, con pietoso cordoglio seguirono tutta la funzione, zitti, bisbiglianti rosari con mille segni della croce.

Dopo un mesetto, circa, il lutto s’era superato ormai e già si parlava del prossimo vicino.

Pensa non aveva eredi, avevano sentito dire, e l’appartamento era in vendita. Avrebbero tanto voluto decidere loro il prossimo vicino! Fargli almeno un colloquio, prima di accasarsi, come un bollino di qualità a garanzia dell’amorevole e dolce equilibrio, ma così non fu.

Un altro mese ancora, ed ecco Chiara Sepe, che entrava lì come una granata, con i suoi drappi a sfondo rosso con l’immagine di Che Guevera, i poster dei Led Zeppelin ed uno stereo enorme, con casse  di legno alte un metro.

Lo sguardo dei Cosimo era carico d’indignazione, quasi di rabbia per le esternazioni già deflagranti di quel trasloco, e così con le prime notti dove “Whola lotta love” oltrepassava le mura: immaginate che, a diciassette anni, i figli dei Cosimo non l’avevano mai ascoltata; non solo quella famiglia, ma tutte le altre tre case erano in subbuglio, così oltraggiate nella loro borghesia.

Ed era bella Chiara: alta, magra e fiera, semplice -Troppo!- nel vestire e nel volere. Capelli ricci e bruni, scura in viso armonioso con tutto il suo essere, che traspariva in ogni gesto, parola. Prossemica pericolosa, la sua.

Tutti gli uomini erano istintivamente attratti da lei e da ogni suo gesto, il suo sguardo li colpiva come un pizzico nel sonno, ma tale era assecondare il gioco intessuto nel tempo che scoprire questa attrazione era negarla al tempo stesso, fremendo e lottando alla luce del sole, assaporandolo e scacciandolo prima di dormire. Quanta buona fede in questi propositi!

E l’armonia non si spezzò, seppure placida, finta accesa dall’esterno e spenta dall’interno.

Chiara fu invitata alle cene e subito tacciò apertamente i padroni di casa come ipocriti: v’erano così avvezzi a quell’aggettivo, che neppure se ne risentirono, sorridendo e parlando d’altro, tranquillamente, per poi andare a sparecchiare in cucina.

-Superba!- -Vanitosa- -Comunista- e forse era tutto vero.

Di tanto in tanto a quelle cene Chiara partecipava, portando a volte qualche uomo, sempre diverso di cena in cena, con l’idea segreta di dare scandalo, ch’era palese il bigotto nascosto nei suoi vicini.

-Guarda che show- diceva alla sua preda maschile – Ridicoli-

-Borghesi- E ridendo un po', lo diceva quello che pensava, Chiara.

E si scherzava nonostante ciò, era dura per tutti.

Da una parte, il paradiso idealizzato dalla signora Cosimo, non prevedeva né di mancare l’invito ad ogni vicino, né di vedere offese così le proprie illusioni, che illusioni erano, ma così amate, così desiderate: semplicemente qualcosa di migliore del mondo là fuori, ch’era si gentile con lei, sorrideva, ma era anche troppo vasto, in tutti i sensi.

Dall’altra parte Chiara difficilmente avrebbe sopportato quel castello di carta, quelle parole ovattate e la gentilezza ostentata e vuota.

Entrambe le visione erano però amore, entrambe all’opposto, diversamente.

Cosa impediva a  Chiara di rifiutare gli inviti? Non lo sapeva.

Prendeva del latte in piena notte, con un uomo nell’altra stanza, nudi entrambi, pensando a quelle persone così vicine, così lontane… era solo quieto vivere? E a che prezzo?

Lo si scoprì presto inaspettatamente.

Quello stesso uomo la prese in sposa, nel giro di un anno, e in un altro anno ebbero il primo figlio.

La musica altissima si sentiva ormai soffusamente, ed era jazz; i poster e le bandiere, via: ecco sorrisi, sguardi zuccherosi, dolcezza e amore, per poi dire lietamente, da soli,-Noi siamo migliori ai suoi due uomini-

Quel secondo piano, scala B, era davvero un pezzo di paradiso.